"Siamo pronti a governare", diceva Elly Schlein. Era l'8 settembre e la leader dem parlava dal palco di Reggio Emilia, alla festa nazionale dell'Unità. Sono trascorse solo tre settimane che, però, sembrano anni. Ai cinque punti proposti da Schlein per costruire l'alternativa al governo delle destre - sanità, lavoro, scuola, diritti e ambiente - sono seguiti altrettanti "incidenti" di percorso che hanno segnato il rapporto all'interno dell'opposizione: il voto europeo sulle armi in Ucraina, quello sul rifinanziamento delle missioni internazionali, i botta e risposta sulle elezioni americane, il veto sull'ingresso di Renzi nel perimetro del centrosinistra e, soprattutto, il voto per eleggere il nuovo Consiglio di Amministrazione della Rai. È stato quest'ultimo, in particolare, a rendere incandescente il clima interno al centrosinistra e a mettere in evidenza una frattura nell'asse Pd-M5s-Avs.
"Noi siamo coerenti, altri no", è stato il commento laconico della leader dem alla scelta di Cinque Stelle e Avs di partecipare al voto. Un concetto ribadito da Schlein anche ieri, a Milano, prima che la leader dem sottolineasse come "ricostruire la sinistra è un lavoro duro, ma che va fatto". Parole che rompono il tradizionale 'understatement' tenuto da Schlein riguardo agli alleati e, più in generale, riguardo al lavoro per tessere la tela delle alleanze, a livello regionale come a livello nazionale. Un altro strappo arriva questa volta in Liguria: i Cinque Stelle ribadiscono il loro 'no' a Italia Viva. I renziani rispondono rinunciando a esprimere i loro candidati e lasciando libertà di coscienza agli elettori liguri. E se una fonte dem che segue da vicino il dossier Liguria assicura che, 48 ore prima della rottura c'era pieno accordo di tutti sulle liste, i Cinque Stelle forniscono un particolare in più: è vero che le liste erano praticamente fatte, ma proprio in quel momento si è cercato di fare rientrare dalla finestra quegli esponenti di Italia Viva che erano rimasti, fino ad allora, fuori dalla porta. A rappresentare il centro moderato nella coalizione che sostiene Orlando ci sarà, quindi, la sola lista composta da Azione, Repubblicani e Alleanza Civica, in una sfida in cui il centrodestra ha saputo compattarsi ancora una volta attorno alla figura di Marco Bucci.
Nonostante le difficoltà, a scandagliare fonti parlamentari dem la fiducia in vista del voto sembra rimanere alta. In primo luogo, viene spiegato, perchè l'apporto dei candidati renziani non sarebbe stato determinante in termini di voti: il partito di Renzi, a livello regionale, ha visto uscire esponenti di spicco che - è il ragionamento da parte Pd - ne ha svuotato il bacino elettorale. La seconda ragione che lascia sperare i dem risiede negli attacchi continui che arrivano dall'avversario di Andrea Orlando. Marco Bucci ha, infatti, alzato il tiro sul fronte della legalità rispondendo a chi gli chiedeva della sfida lanciata da Orlando sul tema della lotta alle infiltrazioni mafiose: "Perché Orlando ne fa parte?". Una battuta che ha provocato la ferma condanna del Pd: "Invece di insultare, Bucci risponda alla richiesta di confronto di Orlando".
Al di là della competizione, i dem sono convinti che i toni scelti da Bucci in questa parte di campagna non facciano che spaventare ancora di più quell'elettorato moderato al quale sembrano voler puntare le proprie fiches i due candidati. Vincere in Liguria, d'altra parte, può avere un effetto trascinamento sulle altre due regioni al voto. L'Umbria e l'Emilia-Romagna. L'obiettivo del Pd rimane quello di portare a casa una regione in più dell'avversario. Si parte dal 2-1 per il centrodestra. In Emilia-Romagna i dem sentono di viaggiare sul velluto. In Umbria le chance sono buone e non si temono ripercussioni derivanti dallo strappo fra Conte e Schlein sulla Rai. Nessuna notizia di scossoni, confermano fonti umbre del Pd: la coalizione nella regione è larghissima ed è stata costruita nel tempo, su basi solide. Se, poi, dovesse arrivare un tre a zero, viene aggiunto, sarebbe un risultato da incorniciare.
Tuttavia, se le coalizioni messe in campo a livello locale sembrano reggere, fra i partiti del centrosinistra il passaggio parlamentare sulla Rai ha lasciato in eredità dubbi e sospetti reciproci. Una parte degli eletti Pd, in particolare, ritiene che la vera partita si giochi sulla futura leadership del centrosinistra. "Vogliono logorare il Pd per i prossimi tre anni per poi giocarsi la leadership alla primarie di coalizione, prima del voto", è la tesi. Una lettura che i Cinque Stelle respingono decisamente sottolineando che, se qualcuno "traccheggiando" non avesse permesso a Matteo Renzi di prendersi il centro della scena, oggi le opposizioni starebbero discutendo su come affrontare la sfida della legge di bilancio facendo gettare la maschera a governo e maggioranza. E un esponente di rango del M5s osserva: "L'obiettivo di Renzi è distruggere il Movimento 5 Stelle, ne ha sempre fatto una battaglia personale. Al Pd questo sta bene? Si rendono conto che sarebbe letale per il centrosinistra?". Dalle parti di Campo Marzio, in ogni caso, i fari sono puntati sulla prossima manovra, banco di prova del governo Meloni, ma anche della capacità di incidere delle opposizioni. Tanto che un deputato M5s bolla come "folle" l'insistere oggi a parlare di alleanze. AGI