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Lunedì, 03 Ottobre 2016 04:31

Il rafano degli Dei

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Il ravanello vale il suo peso in piombo, le barbabietole il suo peso in argento, il rafano il suo peso in oro. A tanto ammontava il valore dato al rafano dagli Dei.
Questa è la leggenda, questo era il valore del rafano scritto dall’oracolo di Delfi ad Apollo.

L’oracolo di Delfi, chiamato "ombelico del mondo" era il più importante oracolo dell’antica Grecia attribuito a Apollo, dio che si propone come il principale tramite tra l’onnisciente Zeus e gli uomini.

Consigliato e usato come afrodisiaco, come trattamento per reumatismi, per il mal di schiena, come un accompagnamento per saporite pietanze. La storia di questa pianta è intricata e misteriosa, ma con una sola certezza, il rafano è stato premiato per le sue qualità medicinali e gastronomiche per secoli. Partito dal Mediterraneo si è subito diffuso in tutta Europa andando ad irrobustire le pietanze nordiche. Durante il Rinascimento, la diffusione del consumo di rafano dall’Europa centrale si estende verso il nord in Scandinavia e verso ovest in Inghilterra. E’ stato l’accompagnamento standard per le carni bovine e ostriche fra gli inglesi, con la radice pungente preparavano sciroppi che servivano nelle locande e nelle stazioni degli autobus per rilanciare i viaggiatori esausti. Ritorna al Sud diventando un emigrante all’incontrario, così mi piace definire questa radice portata, probabilmente, in Basilicata dai bonificatori veneti nei secoli scorsi. Ha contaminato una parte della cucina lucana rendendola ancora più piccante, quasi a sostituire il peperoncino estivo, pietanze robuste soprattutto d’ inverno. Carnevale o mese di febbraio non importa. L’unica cosa certa è che il sapore forte del rafano grattugiato permea di acre profumo le pietanze di molte tavole lucane. Sagre e polpette al rafano si susseguono, si moltiplicano, rivendicando paternità e originalità tipica dei campanili. La radice del rafano è usata esclusivamente cruda e si sente quell’odore pungente e piccante che porta in casa l’aria della terra fredda degli inverni lucani. Si grattugia al momento, sulla pasta, unendo il rafano alle uova per la preparazione delle frittate oppure mescolandolo al pane e patate per preparare ottime polpette. Se invece si desidera conservarlo nel lungo periodo e, quindi, da servire in occasioni particolari bisogna usare un metodo che una carissima signora mi ha raccontato durante un pranzo nel mio ristorante: dopo aver raccolto, spazzolato dalla terra e lavato si poggia la radice del rafano in un posto umido e caldo per una settimana quindi grattugiata, anticamente con la “ grattacaso” grattugia da formaggio, oggi lo si può fare anche con la grattugia elettrica ma perde molto del profumo inebriante e pungente che la radice possiede. Una volta grattugiata si versa in un contenitore ricoprendolo di ottimo aceto di vino, chiuso ermeticamente e posto in frigo per una quindicina di giorni. Dopo i quindici giorni si scola dall’aceto e si versa il composto in piccoli vasi ricoperti di olio extravergine d’oliva. Poi, la signora, faceva il sottovuoto a bagno maria così non serviva conservarlo in frigo. Cosi mentre noi definivamo il rafano “tartufo dei poveri”, tanto per cambiare, altri si ingegnavano a farlo diventare completamento di salse e condimenti. Un classico condimento a base di rafano è il Wasabi della cucina giapponese, spesso servito con il sushi o sashimi, di solito accompagnato con salsa di soia. Quante storie, quante tradizioni, a quanti popoli ci accomuna una semplice radice, il rafano!

RICETTE

Agnello al rafano

Ingredienti
800 g di agnello
50 gr di radice di rafano
20 g di burro
1cipolla
5 cucchiai di aceto di vino
2 mestoli di brodo di carne
Pepe q.b.
Timo
Alloro
Sale

 


Procedimento
Mettete in una casseruola gr. 20 di burro, la cipolla intera, il pepe, il timo, la foglia di alloro, l’aceto e un paio di mestoli di brodo. Portate a bollore e mettete la carne di agnello tagliata a pezzi. Aggiustate di sale Cuocete il tutto a fuoco basso finché il liquido sarà consumato e la carne sarà cotta, a questo punto fatela rosolare e disponetela su un piatto caldo, col poco sugo rimasto.
In un tegamino fate spumeggiare e dorare il rimanente burro, toglietelo dal fuoco, aggiungete il rafano e il prezzemolo, mescolate bene e con questa salsina irrorate la carne e servite.

Strascinati al sugo di capretto e rafano

Ingredienti
400 gr di orecchiette
800 g di capretto
20 gr di radice di rafano
20 gr di formaggio pecorino
1 spicchio di cipolla
1 lt di salsa di pomodoro
1 foglia di alloro
Sale
procedimento
In una larga padella rosolare i pezzi del capretto con lo spicchio d’aglio e la foglia di alloro.
Quando la carne è ben rosolata aggiungere un cucchiaio di rafano, aggiustare di sale e versare la salsa di pomodoro. Far cuocere allungando con qualche mestolo d’acqua

Cuocere la pasta in abbondante acqua salata. Scolare la pasta mettendo da parte qualche cucchiaio di acqua di cottura.
In una capiente casseruola amalgamare la pasta con l’acqua di cottura, il rafano grattugiato e il pecorino, quindi una bella cascata di sugo caldo a condire il tutto,

da archivio le ricette di agoramagazine di Federico Valicenti

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