ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Sabato, 22 Ottobre 2016 00:00

La cucina albanese in Basilicata

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La cultura “arbereshe” in Basilicata non va solo tutelata ma anche raccontata. Il recupero e la valorizzazione delle tradizioni antropologiche e gastronomiche attiva il desiderio della conoscenza verso la nostra Regione, arricchendola. Raccogliere testimonianze dalle piccole comunità, ormai in estinzione, ci permette di lasciare ai posteri i segni della nostra civiltà.

Raccolta che ci permette di ottenere e quindi acquisire, un insieme di competenze, saperi ed esperienze del grande mondo del cibo che la cultura accademica molto spesso sottovaluta, ma che ci rappresenta in egual misura alla ricchezza delle testimonianze storiche, artistiche, ambientali, racchiudendo il tutto in un unico patrimonio che non deve andare perso. La cultura “arbereshe” è ancora oggi fortemente caratterizzata da elementi specifici quali storia, folklore e tradizioni che rendono la presenza delle comunità albanesi un elemento di forte e grande arricchimento per le comunità locali nel suo complesso.

Questo grande patrimonio culturale si rileva nei costumi, nell’arte, nella gastronomia, ancora oggi conservate gelosamente in alcuni centri lucani. Nella nostra “Arberia” lucana sono presenti le comunità dei comuni di S.Paolo Albanese, S.Costantino Albanese, Barile, Ginestra e Maschito, dove quasi tutti i membri della comunità parlano la lingua madre “arbereshe”. La parola “arbereshe” indica sia la lingua parlata che il nome degli albanesi d ’Italia, mentre “Arberia” identifica l’area geografica degli insediamenti albanesi in Italia. Anche se, oramai, solo San Costantino e San Paolo conservano nella loro quasi totalità, il rito greco bizantino e buona parte delle tradizioni del paese di provenienza, quali i costumi, il folklore e la cucina

Uno degli alimenti di eccellenza della antica cucina albanese sicuramente resta il “cugliaccio”, un dolce rustico a base di farina di grano tenero, semola rimacinata, uova, olio, strutto, lievito naturale, lievito di birra e finocchietto selvatico. Il “cugliaccio”, chiamato nel dialetto albanese Kulac, è un tipico prodotto della tradizione gastronomica che ancora viene prodotto a San Costantino Albanese. In uso sin dal XVI secolo veniva preparato e confezionato dai parenti dello sposo il giovedì prima del matrimonio officiato con il rito greco-bizantino. Il “cugliaccio” ha resisto nei secoli opponendosi con il profumo e il sapore alla sua estinzione come prodotto della tradizione. Ha un impasto circolare, con un intreccio che forma quattro braccia, che vuole rappresentare un matrimonio indissolubile. La sua superficie è decorata con simboli in pasta, un nido, due uccelli e due serpenti. Il nido, al centro del dolce, rappresenta la nuova famiglia e la sua casa; le uova in esso contenute sono sempre dispari, in segno di buon augurio e fertilità.

I due uccelli, sulla parte alta del nido, lo difendono e rappresentano la nuova coppia ed i genitori degli sposi attenti a riparare la casa dalle avversità. Secondo la tradizione per ogni cerimonia si devono preparare due “cugliaccio”, uno decorato e l’altro semplice. Quello semplice veniva messo sotto l’altro poiché durante la messa quello decorato veniva offerto dal sacerdote, dopo essere stato bagnato nel vino e dato prima alla sposa e poi allo sposo in segno di reciproca appartenenza. In due piccoli centri di etnia albanese nel Parco del Pollino, la ricetta originale del “cugliaccio”, tramandata nel tempo, ancor oggi viene realizzata dalle persone che seguono la tradizione a San Costantino Albanese mentre a San Paolo si cimentano nel preparare delle morbide frittelle chiamate “pettulat”. Fra i piatti ancora oggi cucinati vanno segnalati la "dromesat", sorta di polenta o pasta fatta con grumi di farina cucinati direttamente nei sughi, le "shtridhelat", tagliatelle simili alle manate ottenute con una particolare lavorazione e condite con ceci o fagioli. Tra i secondi era molto utilizzata la carne di maiale come la “kandarate”, carne conservata sotto sale, la saucice, la supersat,, il kapekol, le frittula. Largo uso anche delle frittate come la "veze petull” preparate con la cicoria oppure con cardi selvatici, scarola, cime di vitalba. Nelle grandi ricorrenze c’è un grande uso dei dolci, come i "kanarikulj", bastoncini di pasta dolce bagnati nel miele, le "kasolle megijze", calzoncelli ripieni di ricotta, la "nucia", dolce con la forma di bambola con all’interno l’uovo intero che raffigura il viso, la cicirata, i bukonote.

“GLIACRUAR"

Ingredienti:
per la pasta:
farina bianca di grano duro;
olio;
zucchero;
un pizzico di sale;
un odore di cannella;
uova.
Preparazione
La farina, impastata con uova, olio, zucchero, sale e cannella va resa sfoglia per foderare un tortiera precedentemente imburrata ( preferibilmente usare sugna di maiale)
per il ripieno:
un misto di carni bollite (Pollo, coniglio, agnello, maiale, vitello); salsiccia secca di maiale tagliuzzata a dadini; uova; zucchero q.b. da creare contrasto con il salato della carne; un odore di cannella; toma fresca.
A parte si miscelano le carni sfilacciate e bollite con la salsiccia e la toma. Si amalgama con le uova ed una manciata di zucchero e cannella. La miscela ottenuta viene versate nella tortiera e la si ricopre con un ulteriore sfoglia. Bucherellare con i rebbi della forchetta la sfoglia sovrastante.
Alla fine si inforna per la giusta cottura.

“GRUR ME ARRA’”

500 gr di chicchi di grano
100 gr gherigli di noci
50 gr di acini di melograno
50 gr di zucchero
1 cucchiaio di vino cotto

Mettere a bagno il grano per 24 ore, in abbondante acqua, cambiare l’acqua e lessare.
A cottura ultimata scolare il grano e versare in una terrina, aggiungere i gherigli di noci tritati, i chicchi di melograno, lo zucchero e il vino cotto, amalgamare tutto.

Si mangia in occasione della ricorrenza dei morti.

Dalle ricette di Federico Valicenti scritte per agora, se volete scaricare gratis il libro andate sul sito dello chef http://www.federicovalicenti.it/libri/ricette-agor%C3%A0/

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