Questi due paesi, è oramai notorio, sono convinti che l’economia e la politica italiana non sono in grado di adeguarsi alle logiche della globalizzazione ed il nostro Paese, semmai può diventare solo un terreno di “conquiste”. Significa, in altre parole, che ritorniamo al XIX secolo allorché i francesi e gli inglesi subordinavano gli aiuti all’Italia, diventata da poco nazione, alle concessioni che lo Stato sabaudo poteva elargire nel meridione d’Italia alle loro imprese. E diamo anche ragione a chi ritiene che abbiamo pagato un prezzo elevatissimo pur di entrare nella moneta unica, e lo dobbiamo soprattutto alle ostilità dei francesi e dei tedeschi. Sono costoro, infatti, che posero l’out out all’Italia e ne condizionarono l’ingresso con un cambio iugulatorio. In seguito lo divenne ancora di più per la latitanza del governo italiano ad esercitare un controllo severo sui prezzi. Vorremmo a questo proposito che tutti i parlamentari europei italiani, di qualsiasi colore politico, esprimessero pubblicamente il loro dissenso alla politica “nazionalista” della Francia, che oggi è di Macron ma in passato non era da meno, e chiedessero una severa condanna da parte del Parlamento, della Commissione e del Consiglio europeo. In difetto l’Italia, per sei mesi, si dovrebbe sospendere da ogni incarico comunitario. Chi ci invita, invece, alla moderazione dovrebbe ricordare che l’episodio odierno è solo una punta dell’iceberg e che esiste un continuo stillicidio volto ad indebolire l’economia italiana e a renderla esposta all’acquisizione dei grossi gruppi industriali di oltre Alpe e non solo: penso alla Cina e alla stessa Spagna. E questo discorso ora si fa più stringente con la trasformazione dell’Italia nel più grande campo profughi di tutti i tempi. E vi è anche un’altra dura realtà con la quale dobbiamo fare i conti checché ne dicono i nostri politici: in queste condizioni siamo prigionieri sia dell’Europa comunitaria sia della sua moneta. Non potremmo anche volendolo uscirne: ci sbranerebbero più di quanto non stanno facendo da alcuni anni a questa parte. (Riccardo Alfonso centri studi politici ed economici della Fidest)
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