Non smentisce l’ambiguità attribuitale, anzi, purtroppo esso afferma che Medicina democratica si contrappone ai cittadini e agli ambientalisti che chiedono l’urgente chiusura dell’Ilva e la conseguente riconversione economica dell’intera area ionica.
Lo fa con la solita filastrocca antiambientalista: “salute e lavoro binomio inscindibile” “conciliare lavoro e salute” “progressiva riduzione degli impatti maggiormente inquinanti” “confronto lavoratori e residenti” “soluzione contrattata del conflitto fra le ragioni del capitale e le ragioni della salute”. I cittadini di Taranto non hanno ragioni “da vendere”, come afferma il presidente di Medicina democratica, dalla loro parte hanno le ragioni di migliaia di morti e ammalati, non hanno più salute da vendere, non sono più disposti a tirare avanti sulla propria pelle con i compromessi del colpo al cerchio e alla botte. E non sono certo i convegni di pseudo “scienziati e legulei” che offrono la salvezza delle vite.
Chi scrive è uscito da Medicina democratica dopo 40 anni, perché non era più il Movimento di lotta per la salute di Maccacaro, il quale da scienziato e partigiano avrebbe chiesto la chiusura dell’Ilva quale fabbrica della morte (Acna, Manfredonia, Farmoplant, Icmesa). Purtroppo l’attuale Medicina democratica non ha più radicamenti sui territori, anche in Puglia non ha più una Sezione, è prevalentemente impegnata a far cassa presenziando parte civile ai processi. Così, non a caso, è a Taranto parte civile contro Ilva (ma non Arcelor Mittal).
Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro Sezione di Alessandria
Ambiguo convegno (clicca qui) organizzato da Medicina democratica a Taranto, a cominciare dai titoli della locandina. “Non siamo riusciti a proteggervi”,rivolto alle vittime dell’Ilva, suona come autocritica di chi non è mai stato presente sul territorio come movimento di lotta. Però il sottotitolo “Ma non smetteremo mai di provarci”sembrerebbe di buon auspicio: da oggi per il futuro essi sono finalmente fra quelli che si impegnano a fermare definitivamente l’ecatombe di morti e ammalati. Se questo fosse il proponimento, allora il titolo –preciso e inequivocabile- del convegno avrebbe dovuto essere “Chiudere l’Ilva è l’unica soluzione”.
Questo manifesto i tarantini avrebbero voluto leggere sui muri. Questa sarebbe stata infatti una proposta chiara e vincolante, mentre, invece, gli intendimenti del costoso convegno sono svelati e contraddetti dal suo titolo “Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita”, argomento generico e disimpegnato, buono per tutte le salse, lodevole per tutte le situazioni ambientali, ma ormai dato come scontato per l’Ilva. I dati epidemiologici infatti sono arcinoti innanzitutto ai tarantini, e va bene ribadirli ma a patto di concludere: “Con questi dati l’unica alternativa è la chiusura dell’Ilva(Arcelor Mittal)”. Illudere che la chiusura possa derivare da interventi giuridici italiani o europei significa eludere la verità: vi è una unica soluzione, la chiusura, ed è in mano alla politica, al governo e, per la sua parte, al sindaco. Dunque un convegno sul maledetto suolo di Taranto, per essere fuori dall’ambiguità dovrebbe 1) cominciare da una (mancante) relazione introduttiva perentoria: il governo deve urgentemente chiudere l’Ilva, 2)procedere con un programma di interventi non dispersivi bensì mirati alla realtà locale e 3) concludere il dibattito con un perentorio ultimatum.
Altrimenti sarà una passerella di conferenzieri del nord destinata ad una inutile e costosa carta patinata. Il peggio di un convegno sarebbe infine l’ipocrisia di proporsi parte civile nei processi fra “quei soggetti” definiti da Slai Cobas“che cercano solo pubblicità e risarcimenti”.
I tarantini hanno provato sulla propria pelle gli effetti dei (crescenti) livelli di emissioni, non hanno più bisogno che gli si spieghi la teoria e la dottrina, la giurisprudenza e la epidemiologia. Insomma.
I Movimenti di lotta sono stati chiari. “Come chiudere subito l’Ilva”: è chiara la proposta di Peacelink. Sulla “chiusura del siderurgico e conseguente riconversione economica dell’intera area ionica“ sono stati chiari il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, FLMUniti-CUB, Giustizia per Taranto, Tamburi Combattenti, Taranto Respira, Tutta Mia La Città, libere cittadine e liberi cittadini. Le Mamme del quartiere Tamburisono state chiare.Da piazza Masaccio – luogo simbolo del quartiere più inquinato l’Italia, i Tamburi – i tarantini hanno dichiarato guerra allo Stato. Per Taranto è iniziata la resistenza.
Il Sito di “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la Salute, l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza” continuerà ad accoglierne i contributi: clicca nella sezione Argomenti alla voce Ilva.
Le chiedono Peacelink, Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, FLMUniti-CUB, Giustizia per Taranto, Tamburi Combattenti, Taranto Respira, Tutta Mia La Città, libere cittadine e liberi cittadini, Mamme del quartiere Tamburi, Movimento di lotta per la salute Maccacaro ecc. Slai Cobas è contrario ad ogni ipotesi di chiusura.
COMUNICATO STAMPA DI MEDICINA DEMOCRATICA (richiamato in principio)
“Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita”, un binomio inscindibile al centro del convegno nazionale previsto a Taranto sabato 13 aprile 2019, dalle ore 9.00 alle 17.00, presso il Centro Polivalente “Giovanni Paolo II”, via Lisippo 6, nel quartiere Tamburi. Una città e un luogo scelti non a caso da Medicina Democratica con altre 15 Associazioni locali, per una iniziativa che farà un focus su Taranto – una città con uno dei più alti tassi di emissioni di diossina “grazie” alla ex ILVA, e di mortalità per tumori al polmone – e un confronto con diverse realtà come Manfredonia, Salerno, Sesto San Giovanni, Castellanza, Matera, Savona, Firenze, Brindisi. Ad affrontare le specificità di queste realtà emblematiche, con analisi e soluzioni possibili per conciliare lavoro e salute delle persone e dell’ambiente, ci saranno scienziati in campo sanitario ed epidemiologico, come Valerio Gennaro, Annibale Biggeri, Maurizio Portaluri, Filomena Valentino, Lucia Bisceglia; esperti in campo giuridico e legali come Stefano Palmisano, Laura Mara, Alessandro Rombolà e tecnici, come Marco Spezia e Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina Democratica.
“A Taranto- ha detto Marco Caldiroli- da decenni, è aperto un conflitto tra le “ragioni del capitale” (produrre in qualunque modo per fare profitto) e quelle della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita, alimentando una divisione tra le realtà sociali che ha peggiorato ulteriormente la condizione di tutti”. Un “ricatto”, quello del lavoro legato alla presunta ineluttabilità delle conseguenze perniciose di cicli produttivi progettati, realizzati e gestiti con l’unico scopo del profitto, che il convegno si propone di sfatare, proponendo soluzioni concrete e alternative.
“I cittadini e i lavoratori di Taranto hanno ragioni “da vendere”- ha aggiunto Caldiroli- per pretendere la chiusura o almeno una drastica riduzione dell’impatto dei processi produttivi maggiormente inquinanti (in particolare dell’area a caldo) degli impianti ex ILVA di Taranto. Ragioni finora inascoltate se non dalla Magistratura e dalla Corte di Giustizia Europea (o strumentalizzate dai politici “pifferai” di turno)”.
Medicina Democratica e AIEA sono parti civili nel processo in corso sui delitti ambientali e per la sicurezza sul lavoro, contro la precedente proprietà. Come pure sono impegnate nel processo affinché giustizia sia giustizia fatta, contro i 5 imputati Italsider-Ilva per la morte di 5 lavoratori per mesotelioma pleurico, il micidiale cancro provocato dall’amianto, tuttora presente: doveva tenersi in Cassazione il 5.02.2019, ma è stato rinviato a data da destinarsi!
Occorre costruire un percorso, che veda confrontarsi lavoratori e residenti con la definizione di una vertenza comune complessiva, da porre ai responsabili della situazione, proprietà e Istituzioni. Occorre individuare un indirizzo finalizzato alla uscita della “dipendenza” assoluta del territorio dagli impianti, attuando, da un lato, la bonifica interna, che comprenda la progressiva riduzione degli impatti della “area a caldo” e l’introduzione di “nuove” – ma ben conosciute – tecnologie alternative a quelle attuali e che quindi porti alla dismissione di parte degli impianti attuali; e dall’altro attuare la bonifica esterna , che necessita di un notevole numero di lavoratori qualificati. L’obiettivo fondamentale è elaborare una proposta in grado di porre in primo piano la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori, quale bene costituzionalmente protetto e indisponibile e il diritto al lavoro, ad un lavoro migliore, e a un reddito dignitoso.