Mosse per stanare l'avversario, attacchi e arrocchi: se si giocasse in due, sarebbe una perfetta partita a scacchi. Ma quella per il Quirinale assomiglia sempre di più a un risiko in cui ogni giocatore attende di conoscere le reali intenzioni dell'avversario per muovere i carri pesanti. Difficile destreggiarsi fra voci che si rincorrono e retroscena.
Al momento i nomi più pesanti sono quelli del'attuale inquilino di palazzo Chigi e del presidente della Repubblica in carica. Sul primo, tuttavia, si registra un certo 'raffreddamento' degli entusiasmi da parte di alcune forze politiche. Il secondo, invece, si tira fuori dalla mischia sottolineando che mancano "poche settimane dalla conclusione del mio ruolo, delle mie funzioni, di Presidente della Repubblica" e ricordando l'importanza del non farsi "catturare dal potere". Lasciando da parte per un momento i nomi in campo, vediamo quali sono le posiziioni dei partiti.
Il Pd rimanda a gennaio
"Di Quirinale si parlerà a gennaio", è il leit motiv del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. Una linea condivisa dal partito nel quale vige la più rigida consegna del silenzio sulla corsa al Colle. Il Pd, assicura il segretario, "si farà trovare compatto" all'appuntamento. È un fatto, tuttavia, che i dem possono contare su numeri limitati alle Camere.
Per stessa ammissione del segretario Letta, il Pd è un partito "grande nel consenso sul territorio, ma piccolo in parlamento", pesando solo per il 12% del totale dei parlamentari. Nel frattempo, Letta chiede di concentrarsi sulla manovra e per farlo propone un tavolo di maggioranza. Uno strumento per evitare l'assalto alla diligenza della legge di bilancio, ma che potrebbe tornare utile anche per svelenire il clima interno alla maggioranza in vista dell'elezione del capo dello Stato. Una proposta accolta, in un primo momento, con un coro favorevole dagli altri esponenti politici.
L'entusiasmo, però, è andato via via spegnendosi, almeno a osservare quanto accade in Parlamento dove i gruppi politici continuano a promuovere le proprie 'misure-bandiera' da inserire in manovra.
M5s tra cautela e prove di dialogo
La linea della cautela è, in ogni caso, sposata anche dal Movimento 5 Stelle: Giuseppe Conte, dopo aver aperto alla possibilità di un trasloco di Mario Draghi da palazzo Chigi al Quirinale - quasi un mese fa - ha evitato di tornare sul tema. Il presidente M5s aveva sottolineato la necessità che a ricoprire l'incarico fosse una "figura di altissimo profilo" e, dicendo questo, aveva ammesso che il premier attuale avrebbe garantito una sorta di continuità nell'azione per il rilancio economico del Paese anche dal Colle pi alto.
Il centrodestra e l'idea 'semipresidenziale'
Una posizione che fa il paio con quanto detto di recente dal ministro leghista dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti per il quale "Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale", aprendo al semipresidenzialismo. Un vecchio refrain, quello della riforma della Costituzione in chiave semipresidenziale, tornato d'attualità.
E, se in un primo momento, Conte aveva chiuso all'ipotesi, dopo la proposta del tavolo sulla manovra di Letta, ha rilanciato sulle riforme istituzionali: "Non c'è nulla di piu' prioritario per il futuro del Paese che mettere i governi in condizione di poter programmare un piano di riforme necessario a migliorare la qualita' della vita dei cittadini. Il sistema cosi' com'e' non va", sostiene l'ex premier.
Ora, se si apre un tavolo per le riforme con tutte le forze politiche, è difficile che Lega e Fratelli d'Italia rinuncino a portare il progetto semipresidenziale a quel tavolo. In questo alcuni eletti del Movimento 5 Stelle hanno visto la volontà di Conte di aprire una linea di dialogo con il centrodestra. Linea che sembra essere confermata anche dall'intervista nella quale Silvio Berlusconi 'salva' il reddito di Cittadinanza.
Ciò su cui Berlusconi mantiene i più stretto riserbo è sulla sua disponibilità a giocare la partita. Un silenzio molto pesante dato che, dopo averne fatto il nome come possibile candidato di centrodestra per il Quirinale, Matteo Salvini e Giorgia Meloni sembrano frenare su questa ipotesi. "L'elezione di Berlusconi non è una cosa facilissima per i numeri", dice Meloni.
Aggiungendo: "Visto che Berlusconi è stato il primo a rispondere all'appello di Letta per trattare insieme il prossimo presidente della Repubblica, deduco che abbia deciso di fare un passo indietro...". E insiste: "Io penso che Berlusconi non sia più interessato a questa partita".
Parole che suscitano l'ira di Forza Italia, i cui dirigenti di primo piano credono nelle possibilità del Cavaliere di 'traslocare' al Quirinale. Il nome su cui tanto Salvini quanto Meloni si dicono d'accordo è quello di Mario Draghi. Il leader della Lega voterebbe Draghi "anche subito", ma sottolinea che "gli scenari cambiano ogni giorno".
Le mosse di Matteo Renzi
Quello a cui si riferisce Salvini è lo scenario che vede Draghi al Colle e un uomo di sua fiducia, come il ministro Daniele Franco, a Chigi. Una ipotesi che non piace, tuttavia, a Fratelli d'Italia, ma nemmeno al Pd. C'è, infatti, chi non esita a rammentare che si tratterebbe del quarto governo in tre anni, con maggioranze sempre diverse, come fa Giorgia Meloni (ma anche esponenti del Partito democratico).
E se per Matteo Renzi, Draghi "farebbe bene ovunque, tranne che da attaccante della Fiorentina", i renziani si mostrano scettici sulla possibilità di vedere l'attuale premier sul Colle. "I nomi buoni escono alla fine", ripetono come un mantra la versione del leader. A questo si aggiungano i sospetti di chi vede nel pressing per mandare Draghi al Quirinale un modo per ottenere il voto anticipato.
Lo stesso Renzi, a domanda diretta, fa i "nomi e cognomi" di chi vuole le urne nel 2022: "Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Enrico Letta e Giuseppe Conte. È il loro vero obiettivo. A parole dicono alcune cose, ma nella sostanza non vedono l'ora di andare ad elezioni, chi per un motivo chi per l'altro: Letta e Conte per cambiare i gruppi parlamentari, la destra perche' pensa di vincere".
Eleggere, dunque, Draghi al Colle per andare a votare? "Mi sembra svilire il ruolo del capo dello Stato raccontarla così. L'importante è proteggere il premier: la polemica non deve coinvolgere Draghi, che sta salvando l'Italia. Anche per questo sbaglia chi pensa di inchiodarlo a un tavolo politico come ha proposto Letta", conclude Renzi.
Determinanti i cani sciolti
Al di là delle mosse dei leader, tuttavia, c'è un partito 'pesante' in Parlamento che sembra destinato ad essere il vero ago della bilancia dell'elezione del futuro Presidente della Repubblica. Si tratta dei deputati e dei senatori del gruppo Misto e, in particolare, i parlamentari non iscritti ad alcuna componente.
Il loro 'peso' si aggira attorno a un'ottantina di voti definiti 'ingovernabili' in quanto si tratta di parlamentari, per la maggior parte fuoriusciti o espulsi dal Movimento 5 stelle nel corso della legislatura, che non rispondono a logiche partitiche o a linee dettate dai leader. Insomma, un pacchetto di voti di difficile gestione e dalle scelte imprevedibili.
Il pallottoliere parla chiaro: nelle prime tre votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica occorre la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto, 1.008 grandi elettori, pari a 672 voti. Numeri che nessuno schieramento - ne' il centrodestra, ne' tantomeno il centrosinistra compreso il Movimento 5 stelle - puo' garantire da solo. AGI