L’abbiamo intervistata.
Che cosa rappresenta per lei interpretare Aida?
Per un'artista come me rappresenta un ponte vocale ardito ed affascinante, essendomi dedicata molto, negli ultimi tempi alla scrittura pucciniana, è un impegno muscolare e mentale diverso ritornare al messaggio profondo di Giuseppe Verdi già affrontato in gioventù in Gilda, Violetta, e più recentemente in Desdemona e la stessa Aida nella realizzazione Zeffirelliana, nel 2016.
È per me motivo di gioia e di rinnovato impegno! Aida è stata concepita come Grand Opéra e lo è nell'immaginario collettivo, bastano Il Trionfo, le scene corali e i balletti a nutrirci di questa magnificenza ma, in realtà, si possono percepire delle cifre intime, notturne, luoghi silenziosi, dove i sentimenti veri emergono grazie a un'inventiva melodica meravigliosa che fa di Verdi il grande narratore dello spirito ottocentesco italiano e il grande padre del Risorgimento. Quale opera più di Aida rappresenta questo struggersi per la patria e per gli amori infelici, irrealizzabili? Sono molto felice d'essere qui; in teatro si lavora in grande armonia e precisione, e questa produzione consente di esprimere sia musicalmente che registicamente queste autentiche intenzioni.
Dunque, è sempre possibile trovare in personaggi simbolo come Aida trovare delle nuances inedite in base anche alla propria personalità...
Ogni artista ha il dovere di farlo e di cucirsi l'abito musicale e interpretativo addosso, ma sempre nel rispetto totale della scrittura e delle intenzioni drammaturgiche del Compositore .
Rileggendo e ristudiando Aida, ho riscoperto felicemente assecondata dal Maestro Speranza Scappucci, la coscienza ipergiovanile e iperinnamorata di Verdi grazie alla quale i personaggi si svelano febbrilmente motivati, carichi di enfasi e struggenti d’amore nell’autenticità romantica che non consente il timore della morte, poiché il sogno dell’angelo che traluce e alleggerisce gli affanni terreni è più fulgido e grande di ogni “Valle di Pianti”. Il Cielo, si può schiudere!
Come interprete pucciniana, c'è fra i tanti personaggi uno che sente più "suo" rispetto ad altri?
Io canto molto e adoro il difficile ruolo di "Butterfly", tra poco sarò Tosca in Italia e ne sono felice, però da sempre ricevo una rara suggestione di bellezza dalla figura di "Manon Lescaut" . Puccini la disegna mirabilmente insieme a De Grieux in quei “movimenti per moti contrari’, rivelando una spontaneità compositiva e di intenti amorosi profondi. Non c’è più il Cielo a condurli, ma la strada nuda e polverosa dell’uomo e della donna nella loro moderna solitudine ... Poi c’è lei : la principessa "Turandotte": Tutt’altro che urlatrice .. piuttosto contraltare della tenera LIÙ... anche questa vocalità andrebbe ricercata nella risolutezza e nel volume di una giovinezza estrema.
Se Manon Lescaut mi incanta per i propositi dell’esordio, Turandot mi strugge e mi commuove per l’epilogo della vita stessa di Puccini, mi sembra poi che in entrambe, per opposte ragioni, Puccini sia più attore vivo e spontaneo che spettatore nei suoi meccanismi e nella sua immensa arte compositiva.
Quale idea tiene sempre presente nel suo percorso?
Di non tradire mai il personaggio già disegnato dall’Autore: sia dal punto di vista musicale, sia da quello drammaturgico! qualsiasi approfondimento deve ... restituire la matrice per cui è nato!
Poi studiare tantissimo la tecnica in modo tale che gli automatismi siano acquisiti.
Altra cosa importantissima è la compattezza degli intenti fra tecnica vocale ed espressività: dunque :lo studio assiduo che consente certi automatismi.
Poi mi sembra fondamentale non compiacersi mai di se stessi ma sentirsi sempre strumento di qualcos’altro.
L’augurio che faccio a me stessa e a tutti quanti vogliano intraprendere questa carriera è di non perdere mai di vista il senso del dare.
Grazie a questo, ci è permesso di attraversare i sentimenti più alti e di consolare quelli più dolorosi. Giovanni Zambito.